Il Blog di Anna Bruno

Già da qualche anno (pochi in verità!) i nostri musei si pongono il problema di come attrarre un numero crescente di visitatori. Certo, semplice non è, a dir il vero, oggi che la cultura è diventata appannaggio di pochi eletti e che i media e i social hanno cambiato definitivamente il modo di informare e di “fare cultura”. In ogni caso, porsi il problema è certamente cosa saggia, se non fosse per le motivazioni che sottendono la scaturigine del risveglio rispetto al problema. A cosa si deve questo risveglio tout d’un coup dall’annoso torpore che interessava codesta istituzione? Forse ad un’imposizione da parte del Ministero dei beni culturali che non riesce più a sostenere i costi di questi luoghi della cultura? Forse, al fatto che i musei d’oltralpe e d’oltre oceano contano un flusso più costante e cospicuo di visitatori e frequentatori e che, tra questi, molti sono giovani? Chissà!

Da troppi anni ormai, gli unici visitatori assidui nostrani dei luoghi della conservazione dell’arte sono i bambini e i ragazzi al di sotto dei 18 anni, ma solo grazie alla scuola o a qualche associazione che riesce a trascinare le famiglie, e gli anziani a causa del rallentare della loro giornata, che li induce ad interessi più animici o comunque alla piacevolezza di potersi incontrare nei luoghi dell’arte.

Per superare questo status quo, la maggior parte dei nostri musei ha deciso di rimboccarsi le maniche, provando ad ammodernarsi. Così, ogni luogo delle muse, ciascuno per proprio conto – spesso in competizione tra loro -, si cimenta in un susseguirsi sempre più denso di eventi di ogni tipo: dalle visite ludiche per bambini, a quelle culturali per adulti come presentazioni libri, cinema, teatro, ma anche cocktails, aperitivi e feste di compleanni, e persino attività quali yoga, danza e/o concerti, e chi più ne ha più ne metta.

Certo, i risultati Istat sembrano gratificare questi luoghi della cultura dell’arte. Gli ormai definiti staccanti biglietto infatti sono arrivati a formare il numero stratosferico per l’Italia di 120 milioni nel 2017. Finalmente! Perché lamentarsi allora?

Tuttavia, il dubbio sorge spontaneo.

Ci si chiede se in quel Grande Numero non ricadano soprattutto i fruitori indotti dalla ben formulata pubblicità degli eventi (dell’evasione?) e se la stragrande maggioranza di loro non risponda solo per cogliere l’occasione della gratuità d’ingresso nella prima domenica del mese e per non avere null’altro da fare.

Fatto sta che i dati Istat concernenti i giovani visitatori “made in Italy” scendono clamorosamente. I giovani dagli 11 anni in su  difficilmente si recano al museo con spontaneità, presi dalla curiosità e/o interesse proprio, a meno che non siano universitari provenienti dalle facoltà di storia dell’arte o archeologia o raramente per vecchia abitudine familiare.  E  non ci vanno neanche se spinti dalla più accattivante delle pubblicità né per approfittare della riduzione del costo del biglietto per questa fascia d’età.

Cerchiamo allora di provare a vederne il perché, analizziamo alcune delle motivazioni:

  1. Nonostante gli sforzi dell’eventistica, i musei restano ancora contenitori di un religioso filare storiografico di opere d’arte, che allontanano invece di stimolare gli animi giovanili, abituati oramai alle tante singole immagini virtuali, calamitanti la loro attenzione nel quotidiano. Ne consegue che se i musei non trovano una modalità espositiva che crei più impatto emotivo sul giovane visitatore, stimolandolo al pensiero creativo e dunque critico, alle connessioni, difficilmente riusciranno a farsi luogo di frequentazione ed educazione, dove sviluppare empatia e sempre nuovi interessi; 
  2. La scuola dovrebbe rivisitare le motivazioni, le aspettative e le modalità didattiche con cui si portano i bambini e i ragazzi al museo;
  3. La didattica museale dovrebbe avere il coraggio di fare un salto di qualità e subire una sana trasformazione in educazione all’arte (vedi mio testo Intorno all’Educazione all’arte, dall’eutropia all’eutopia – 2018 Palombi Editori)
  4. L’istruzione in generale (anche tra le mura domestiche) è ancora troppo concentrata sullo sviluppo della logica e sulle aspettative,  che finisce col creare in bambini e ragazzi una sindrome da prestazione, piuttosto che fornire gli strumenti migliori per coltivare la propria anima. Questo anche come prevenzione rispetto agli innumerevoli fenomeni di violenza e bullismo.
  5. I genitori sono troppo spesso compulsivi frequentatori dei centri commerciali e centri sportivi, che rifiutano a priori ogni qualsivoglia centro culturale, non abituati alla coltura della propria anima, e assidui consumatori dei viaggi dell’alienazione all inclusive: dalle crociere ai villaggi turistici e così via, si fanno modelli dell’apparire e dell’evasione piuttosto dell’essere. 
  6. Le gite scolastiche, troppo spesso organizzate suddividendo il tempo a disposizione tra la visita ai musei e monumenti più frequentati, la cui massa degli staccanti-biglietto li ha definitivamente trasformati in non-luoghi dell’entertainment, e tempo libero nei centri commerciali.
  7. Investimenti pubblici scarsi o nulli in educazione all’arte, nella ricerca che abbiano come riscontro vie alternative, durature e più lungimiranti per l’arricchimento dell’anima e per tutte le età.
  8. Tagli importanti dei fondi alla cultura, all’istruzione e alla ricerca, in cambio di investimenti in un progettificio teso alla frammentarietà, all’arrivismo e al protagonismo, piuttosto che all’educazione al piacere della conoscenza.
  9. Infine, oltre 250.000 giovani italiani su cui governi e genitori hanno investito per farli studiare vanno a produrre all’estero, mentre quelli che rimangono devono combattere con una quotidianità lavorativa decisamente poco serena (contratti a cococo, a cottimo ecc.) e senza prospettive.

Che fare dunque? Da dove ricominciare?

Forse si potrebbe iniziare col portare l’arte contemporanea fuori da quei contenitori troppo ben organizzati e col lasciare che siano l’arte e l’educazione all’arte a parlare direttamente alla gente e nei luoghi da essa più vissuti. A tal proposito, interessante è il lavoro che, sin dagli anni ’80, ha fatto e sta facendo l’artista e mecenate siciliano Antonio Presti, su cui mi dilungo nell’ultimo capitolo del mio testo Intorno all’Educazione all’Arte, dall’eutropia all’eutopia (Palombi Editori, Roma 2018).  Fondatore del più grande museo all’aperto al mondo, Fiumara d’Arte, che corre nel territorio compreso tra Castel di Tusa (Palermo) e Messina, Presti oggi rivolge la sua Politica della Bellezza all’ “ultima” periferia di Catania, Librino, donandole l’opera il Cantico di Librino, in cui compaiono i volti di tutti gli abitanti di Librino e che sarà inaugurata il prossimo 25 marzo: un riscatto certo per questo bassofondo cittadino dell’estremo sud italiano.

A Librino infatti il problema di chi va o non va al museo non si pone per ovvie ragioni, così il museo d’arte contemporanea di Presti decide di scendere nelle sue viscere e fare dei suoi abitanti e dei loro volti i protagonisti dell’opera che si fa opera-altare per l’intera Librino.

Questi stessi protagonisti – tra loro, uomini e donne di ogni età ed etnia, giovani e anziani, poveri, meno poveri e ricchi, “prostitute e pubblicani”, innocenti e spacciatori – avranno probabilmente messo piede poche volte in un museo o forse non l’avranno messo affatto, ma ogni giorno, a partire dal 25 marzo 2019, giorno dell’inaugurazione dell’opera, passeranno vicino, sotto e sopra a quest’altare-ponte di anime e sarà per loro come pregare davanti al più sacro dei Templi mai dedicato alle Muse.

Link per ISTAT https://www4.istat.it/it/files/2017/12/C10.pdf

 

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