Mi rinchiudo
Dentro
Una forbice
Di espressività
Che spunta
Come un iceberg
Dalla mia
Intolleranza (C. Q.)
Sembra giungere da un suo spazio fiabesco dai contorni eterei, in cui il tempo è scandito da lentezza e circolarità, Claudia Quintieri. Un tempo in cui passato e futuro si coniugano nel presente, suo unico contenitore di essenza.
E il suo proporsi è già la sua opera d’arte.
Silente ma intensa, come la musa Polimnia, la nostra artista si sposta leggera col suo terzo occhio vigile sulle scene – vive o costruite – che le scorrono davanti. Mai ripetitiva nel menzionare, difficilmente si scompone. Neanche in sede di montaggio, laboratorio di connessione tra l’esperienza e la memoria, la sua memoria, dove le immagini vengono assemblate col rigore del finto scompigliato, come pantomima e danza. E le immagini si lasciano andare e modellare, avvicendandosi e aggrovigliandosi, per divenire trama intessuta di memoria appunto e ricerca identitaria, nella tensione tra il sacro e il profano, la voluttà e l’ascetismo. E appaiono le immagini e si sfaldano, divengono altro, si distaccano da se stesse – come nell’opera Identity – e/o spariscono nel nulla pur restando, lei, la nostra artista, sempre fedele al proprio sé, un sé inquieto ed irrequieto: filo rosso che mette assieme le sue opere diverse, senza tuttavia appesantirle, né imprigionarle nell’hic et nunc.
E il suo sentire decide allora di sfumare i confini dello yin e dello yang fino a scioglierli definitivamente – come nell’ opera-video Il cervello tra le anime – perché il cervello resti nudo e si liberi della sua scatola cranica, comfort zone protettiva e al contempo ingabbiante, affinché l’anima si abbandoni alla destabilizzazione del nuovo che incalza.
E il nuovo è come il vento – come nell’opera Reclusione 2020 – che passando scuote le fronde del tiglio, simbolo di amore e di fecondità, dietro a quelle sbarre di decorazione architettonica della piana di un palazzo e che improvvisamente si mostrano all’infermità collettiva, del tempo del Covid, come simbolo di prigionia e soffocamento, sogno di libertà. Mentre al di là la vita continua, la natura si risveglia indisturbata dai rumori dell’animale uomo, lasciandogli solo il potere di accarezzarla con gli occhi dell’irraggiungibilità.
E le immagini riprese e poi accostate o sovrapposte, evanescenti e in continuo movimento alcune e fisse altre, corrono, e spesso metafisicamente, davanti all’occhio affascinato dell’osservatore, come in Poligonie,
Laddove di fronte allo scorrere automatizzato dell’umano, la Quintieri si cimenta nella provocazione come terapia d’urto. Perché il pensiero collettivo torni a porsi domande a favore della possibilità del superamento di pensieri ormai iconici e perciò indiscutibili. Ѐ il caso di Eternal Feelings, dove il suono dell’incontro chimico sembra profondere per celia da quegli scorci delle bianche, imponenti e moralistiche colonne dei templi degli antichi fasti e delle dinamiche facciate delle chiese seicentesche della Roma dei papi, in contrasto col buio onirico della notte che le mette in risalto come fossero cammei.
Ѐ nata e vive a Roma, Claudia Quintieri, dove si è laureata all’Università La Sapienza in Lettere e Filosofia con indirizzo di Storia dell’Arte Contemporanea. Artista, scrittrice e giornalista, la sua ricerca artistica si concentra soprattutto sulla videoart, le cui prime esperienze risalgono già al 2001.