Il Blog di Anna Bruno

Nell’antica Roma, chiunque decidesse di intraprendere un viaggio si muniva del proprio necessaire da viaggio o viaticum.  Termine che nel tempo ha finito con l’indicare il viaggio stesso, il viaggio per antonomasia. Non quello puramente fisico, tanto meno quello odierno da consumare. Il viaggio era il viaggio dell’anima. Dove il protagonista esperiva prima di tutto l’allontanamento, fisico o allora mentale, dal proprio conosciuto, per andare incontro alla prima tappa di un lungo processo di trasformazione e divenire viandante del bosco, iniziato.

Ma chi era l’iniziato? 

L’iniziato era il senza fissa dimora, il pellegrino del sé, il vagabondo. Colui che avrebbe vagato per l’abbondanza, colui che non avrebbe ritrovato la via del ritorno senza aver superato quel bosco. E per ogni viaggiatore c’era un proprio “bosco” da attraversare! E tuttavia quei diversi boschi erano tutti riconducibili alla selva oscura di dantesca memoria, dove l’uomo esperiva la precarietà, si confrontava con le sue fragilità e si nutriva di cadute e risorgenze. Il fine era quello di costruire il coraggio per la metamorfosi, scolpendo via l’inutile, il vecchio di sé, oramai ingombrante e soffocante, perché il bello potesse, nella leggerezza, vedere la luce. Per divenire migliore di ciò che era.

E in nome dell’evoluzione interiore si raccontavano fiabe e miti. 

Così, Cappuccetto rosso venne inviata nel bosco affinché trovasse la sua trasformazione, quella morte simbolica e rigenerativa della pubertà, per poter entrare nell’adultità; o allora Bacco, che nel bosco trovò la perdita, esperì la dolcezza del “vino” ma anche la sua asprezza, la morte e la rinascita, l’allegrezza e la prigionia, fino ad approdare all’isola di Nasso, l’isola della ritrovata armonia, quella in cui lo yin e lo yang guadagnarono infine la salvezza dell’unione universale, questa volta nella consapevolezza. Perché solo in quell’unione, l’etimologia greca della parola bosco può dirsi di aver compiuto la sua missione, di aver nutrito, alimentato, custodito: che presso di sé, l’iniziato ha trovato il giusto sostentamento nel risalire con determinazione la scala di Giacobbe, gradino dopo gradino, svelando a sé quei “segreti” rinchiusi nel proprio inconscio e ritrovando infine la parte più umana di sé.

Ma cos’è dunque il viaggio verso il sacro se non esoterismo?  E cos’è l’esoterismo?

Nient’altro che un viaggio verso l’occulto, oggi ancora tristemente troppo relegato nelle mani e nelle menti di logge massoniche o sette segrete, che una volta appropriatesi dei termini ne hanno materializzato il senso, restituendoci la debita distanza. Per fortuna, artisti e letterati, poeti e liberi pensatori non hanno mai smesso nel tempo di raccontarlo, anche se  segretamente, per strati di conoscenza… e questo nonostante i rischi di censure, condanne e persecuzioni, mantenendo quel filo rosso che, seppur qua e là rattoppato, è giunto fino a noi.

Il termine occulto è un contrario del termine culto, dal latino cultus, e culto è coltivare, prendersi cura, per cui ciò che non si cura diviene occulto, cosa sconosciuta, dimenticata, negletta, oscurata e perciò “segreta”, mistero. E affinché segreti e misteri si snocciolino davanti a noi senza riserve, è necessario intraprendere il viaggio esoterico, il viaggio dell’anima verso il Sacro, verso quel sano centro del sé. Quel centro che i bambini perdono man mano che procedono verso la pubertà e ritrovarlo poi in età adulta, è il più grande atto d’amore verso sé stessi ma anche verso gli altri

Dice Gesù: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lc – 10, 27). Ed usa il futuro Gesù, e non a caso! Perché per riuscire ad amare il prossimo, bisogna prima di tutto imparare ad amare sé stessi. Con umiltà. Un duro lavoro che non esclude purtroppo i momenti di afflizione da superare.

 

Quanto al termine esoterismo, questo deriva dal greco esoterikόs e vuol dire intimo, interno. E intimo è il luogo in cui risiede il sacro, il divino, che nulla ha a che fare col delirio di onnipotenza, quanto piuttosto con le infinite potenzialità che ognuno porta dentro di sé e che spesso, se incatenate e oscurate, portano a ciò che gli psichiatri chiamano nevrosi ossessiva, depressiva o maniacale. Perché non intraprendere la via della conoscenza del sé produce sbilanciamento, attaccamento a ciò che si vede, alla materialità e al continuo e incessante bisogno di conferme e riconoscimenti, spesso risarcimenti, innalzando a dismisura difese e stati di panico, sentimenti negativi quali rabbia, invidia, diffidenza e chi più ne ha più ne metta! Tutto questo solo e soltanto per mancanza di amore verso sé stessi.

Nella filosofia aristotelica col termine esoterismo ci si riferiva agli insegnamenti mistici che i maestri riservavano solo a una ristretta cerchia di adepti. Un concetto ancora oggi mantenuto nel mondo dei viaggiatori dell’esoterico. Nel Medio Evo, trovò il suo habitat ideale tra gli anacoreti, rapiti dal loro  itinerarium mentis in deum di matrice cristiana, laddove per tutto il Rinascimento e oltre, la cultura dell’esoterismo si costituì in un complesso di conoscenze di tradizione neoplatonica, per cui vi erano rapporti simbolici tra l’uomo, il cosmo e la divinità. Il movimento neoplatonico trovò libertà di vissuto nella Nuova Atene di Lorenzo il Magnifico a Firenze, un circolo frequentato da personaggi illuminati, intellettuali di spessore quali Poliziano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, per cui i maggiori riferimenti erano i testi sacri dell’ebraismo: il Talmud (le leggi tese a fare dell’uomo un uomo giusto), il Midrash (una serie di racconti e leggende tese a nutrire l’animo dell’uomo) e la kaballah (la mistica ebraica).   E così artisti come Botticelli, Michelangelo, Leonardo, e più avanti Borromini, Pirro Ligorio e tanti altri seppero diligentemente farne buon uso, seppur troppo spesso segretamente…consci che, prima o poi, i loro “segreti” avrebbero trovato il proprio svelamento per chiunque avesse avuto voglia di approfondire la vita.

Ad ogni buon conto, il termine esoterismo entrò in uso nel linguaggio corrente nel XIX secolo e fu un occultista, Eliphas Lévi (1810-1875), a connotarlo con i toni che ancora oggi conosciamo.

Nonostante alcune differenziazioni, il percorso verso il Sacro è un’unica via, comune a tutti e dunque universale. Lo si riscontra nei disegni degli inconsapevoli bambini, gli stessi in tutto il mondo. Intraprendere il viaggio da adulti tuttavia, come dicevamo,  significa darsi la possibilità consapevole di raggiungere prima o poi l’apice della conoscenza e ri-avvicinarsi a Dio, come ci racconta il nostro “divino” Michelangelo negli affreschi sistini. Basterebbe poco, basterebbe ascoltarlo…

Se comparata alle altre civiltà storiche, la nostra civiltà contemporanea appare come qualcosa di anomalo: la sola ad essersi sviluppata in un senso puramente materiale, accompagnata da un preoccupante regresso intellettuale, del tutto incapace di compensare il vuoto creatosi negli anni. E così anche Politica e Scienza ritengono di poter fare a meno della sapienza narrativa, della filosofia, di una corretta revisione storica dei fatti e persino dell’anima. Tuttavia, mi chiedo: senza il respiro dell’anima, senza più menti critiche, senza più buon senso, senza più sentimenti quali passione, empatia e compassione, e anche giusta rabbia, saranno mai più in grado, Politica e Scienza, di riportare al centro dei loro interessi e cura il benessere dell’uomo e le sue potenzialità? E l’Arte e la Natura, ridotte ad oggetto di mercato, avranno ancora la forza di indicare la via verso il superamento di questo esasperato squilibrio tra materialità e spiritualità?

montagna in Calabria

Teniamo alta la guardia e torniamo a guardare verso quel Sacro Monte di cui parlava padre Ernesto Balducci, ma ricordiamoci che prima di arrivarci, e tutti insieme, sarà necessario togliersi le scarpe e calpestare la terra a piedi nudi, esattamente come fece Mosè prima di entrare in Terra Santa. Magari anche zoppicando, se questo potrà servire a rallentare il nostro passo e a riportarci alla sapienza dell’anima!…

 

Articoli Correlati