Il Blog di Anna Bruno

In musei, parchi e giardini, monumenti, piazze e palazzi, le muse la fan da padrone e… danzando, creando, raccontando e giocando, tra sensi, sentimenti ed emozioni, vanno educando. E a far la didattica? Non ci pensano proprio! «E’ più facile insegnare. Per insegnare basta sapere, per educare invece (da educere, tirar fuori) bisogna essere» diceva Alberto Hutado. E allora progetti, programmi e disciplina, lasciamoli ad altri a cui è dato sapere. Noi, andiamo a divertirci (da divertere, fare qualcosa di diverso)! «Per insegnare, diceva la poco ascoltata Maria Montessori, bisogna emozionare. Molti però pensano ancora che se ti diverti non impari» e poi ci si mette anche Gianni Rodari con quel suo saltellar fiabesco tra sogni e colori, per non parlar di Pablo Neruda e del suo invito a giocare perché, diceva, «il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca, ha perso per sempre il bambino che è dentro di sé».

Oh Dio, ma i quadri, le statue, la storia dell’arte che fine faranno? Lasciamo fare ai bambini, lasciamo che siano loro a raccontare, vi prego! Loro non son sacchi vuoti da riempire, né spugne assorbenti… loro, i bambini, son magiche borse dorate, ricche di sogni, segni sacri, colori e sentimenti. Tutto osservano e tutto vedono e immaginano e fantasticano in mondi che per gli adulti son già dimenticati, adulti ormai chiusi col lucchetto nel loro mondo dell’apparenza e del mostrar la scienza.

E nonostante qualche museo cerchi a fatica, con scarsi fondi e finanziamenti, di riproporsi con rinnovate e più accoglienti sale e accattivanti laboratori per piccini e famiglie, il museo in sé ancora piange di idee su come proporsi in maniera alternativa al fruitore. Si racconta delle opere con attenzione a far sfoggio della propria cultura, senza troppo badar di parlare a misura di chi sta di di fronte, soprattutto se di bambini e adolescenti si tratta, e se dall’altra parte la presenza non è attiva «peccano loro di ignoranza e indifferenza». Per non parlar della vetusta e radicata idea che un bambino, perché bambino, è spinto da un primitivo istinto e che se visitar il museo deve, deve anche subire la diffidenza nei suoi confronti e se non sia mai gli scappasse la voglia di prender matita e foglio in mano, Dio ce la scampi… meglio relegarlo ad un tavolino, messo nell’angolino, su cui può trovar matita sì, ma legata allo spago, e anche un po’ di carta bianca su cui incollar formelle di carta colorata, già rigorosamente ritagliata, tutti insieme pronti a placar la bramosia del fare e del danneggiare. Salve, allora, son le tele e salva è la «responsabilità della conservazione», senza pensare che forse se ci fosse un po’ più «educazione» e un po’ meno di didattica e disciplina, si ridurrebbero ansia, rischio e «divino» controllo perché i bambini «fanno ohhh! a chi li fa stupire» E poi, in fondo, gli artisti van fuori dal loro ambiente per trovare ispirazione e annotano e disegnano e dipingono in loco se necessario, e infine cercano il disordine per poter creare e anche quando ormai famosi vivono in lussuosi appartamenti, il loro studio sembra chiudere la porta all’adulta voglia di mettersi in mostra e tirar dentro solo pathos e caos infantili.

E allora, io mi rivolgo a voi genitori cari, non lasciate i «vostri» musei in mano ai soli organizzatori e ai loro illustri utenti. Fatene, col dovuto rispetto, il vostro luogo di appartenenza e ispirazione alla vita, alla relazione con gli altri, con voi stessi, con i vostri bambini, lasciandovi andare nel seguire la loro spumeggiante scia fiabesca: lasciate la mente a casa a riposare, portate lì dentro solo il vostro cuore, fatelo palpitare e perché no, ispirati alle opere che vedete, lasciate che le vostre mani volteggino tra matite e colori insieme a quelle dei vostri bambini, senza aspettarvi risultato alcuno. Perché più importante è il processo artistico e non il risultato. Perché arte è sentire bellezza e poterla comunicare e non necessariamente perfezione, anzi a volte quello che giudichiamo «brutto», ad esempio uno scarabocchio, può esprimere arte e bellezza molto più di una forma matematicamente perfetta.

Un giorno a Berlino in uno dei tanti musei di arte contemporanea assistetti al «rumore» dei bambini stupiti e dei loro genitori non sfuggenti intorno a un artista e al suo cantar arte, mentre gli stessi genitori e bambini, come farfalle, piroettavano i loro corpi a terra o tra gli arnesi e i colori del loro incantatore, alla ricerca della scoperta e del nettare giusto per il loro stupore… I loro movimenti erano musica e per me quel rumore si tradusse in passione!

 

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