Il Blog di Anna Bruno
Abbattere o vaccinare gli alberi: questo è il problema (?)
- 23/04/2021
- Pubblicato da: Anna Bruno
- Categoria: giardini storici

Ѐ da tempo che i pini di Roma soffrono. E tuttavia, solo nelle ultime settimane, si son visti i riflettori addosso. E si sa, quando la luce mediatica si infrange su un problema, polarizza l’attenzione dell’opinione pubblica, che finalmente, almeno in parte, alza gli occhi su quelle meravigliose pennellesse al cielo, per guardarle addolorata… (?) Sensibilizzata, allora, accorre, compiaciuta con i media, additando la Toumeyella parvicornis, l’insetto parassita dei pini, proveniente dal Nord America, che senza prenderci troppo in considerazione, si è impadronito dei nostri Pinus pinea!
E cerca pure il rimedio più celere, questa parte di opinione pubblica, se non vuole che il Comune passi con la sua moderna scure: la motosega, l’invenzione tecnologica no-perditempo più ardita, che supera la lenta e faticosa ars topiaria, fendendo con deciso piglio la parte bassa dei loro tronchi. E…boom! Tutti giù per terra! E ad occhi chiusi, il problema è risolto. Poi il sipario si chiude, i riflettori si spengono e dei decennali Pinus pinea romani solo il ricordo!
Quanto tempo è passato da quando l’albero in sé era tutt’altra cosa!
<<(…) Nel suo secondo capitolo, la Genesi racconta che, dopo aver piantato la propria tenuta, Dio creò Adamo dalla terra ed Eva dal fianco di Adamo e in questo giardino li liberò entrambi. Ma entrambi avrebbero dovuto prendersene cura, coltivarlo e custodirlo, se avessero voluto apprendere la vita. Solo se si fossero impegnati con costanza e perseveranza, le piante avrebbero svelato loro l’armonia come essenza stessa di tutto il Creato. E soprattutto l’albero, con la sua forza evocante la persona (…)>> scrive la sottoscritta in Anima Persa Anima ritrovata, periegesi all’interno dei giardini vaticani (di Anna Bruno, pg 23 – Roma, 2017 – Palombi editori) https://www.periegeta.it/it/pubblicazioni/.
L’albero come modello educante, di più, l’albero come educatore maieuta, colui che stimola al dubbio e al suo superamento, con domande rivolte a chi, in ascolto attivo, le coglie, e che, paziente, aspetta le possibili e più veritiere soluzioni. E lo fa nella sua doppia essenza costitutiva: da una parte con la naturale propensione all’accoglienza del suo femminile, del suo tronco, della sua chioma e dei suoi frutti, e dall’altra con la verticalità egoica del suo maschile, del suo stesso tronco e dei suoi rami intenti ad incontrare il Cielo, e delle sue radici esploranti il ventre sacro della Grande Madre, la Terra. E ad ogni ceppo di rami corrisponde il suo ceppo di radici: va da sé che potare un ramo significa recidere la sua radice corrispondente, e se il potatore è disattento e non guarda con sapienza dove taglia, l’albero entra in sofferenza, preda facile all’attacco di virus infestanti, insetti nocivi, a cui resisterà con dignità fino alla caduta.
Una conoscenza quest’ultima che la donna e l’uomo del neolitico apprendevano naturalmente, già in tenerissima età, grazie ad una convivenza partecipata che conduceva occhi e orecchie ad un profondo ascolto. Impossibile era dunque, per loro, sfuggire all’albero, tanto meno passargli accanto frettolosamente, vedendolo senza guardarlo. E… di alberi erano popolate le loro sapienti fiabe, giunte fino a noi intatte, nella loro morfologia e finalità. Perché la donna e l’uomo del neolitico studiavano i loro compagni alberi, in quanto attori protagonisti del loro viaggio iniziatico di scoperta e arricchimento personale, nel corpo e nell’anima.
Gli alberi erano cosa sacra. Non oggetto abbellente, ma soggetto venerato, axis mundi, attorno al quale la comunità si riuniva e danzava per chiedere aiuto e discesa di saggezza nei pensieri e nelle parole degli uomini e delle donne, perché una loro sana comunicazione conducesse alla giusta soluzione del problema. Per questo attorno all’albero, per prima cosa si danzava e la danza era preghiera, inno alla vita. Solo al termine di questa recitazione corporea, ci si sedeva sotto l’ala protettiva delle sue fronde, rigorosamente in cerchio, affinché gli sguardi non imparassero a sfuggire, ma a confrontarsi. Solo così, nella nuda verità di chi sa porsi l’uno di fronte all’altro, si poteva discorrere di ciò che era male e che era di conseguenza da scolpire via e ridurre in ceneri, queste ultime, fertilizzante indiscusso del bene. E il bene era il bello e il bello era buono: un concetto ripreso più tardi dai grandi artisti del pensiero e della tecnica, del mondo egizio, ebraico, greco, latino e nostrano rinascimentale.
Gli uomini nel tempo coltivarono giardini ad alberi e il giardino, scrive ancora la sottoscritta nel succitato testo: <<(…) si fa, di volta in volta, specchio dell’anima di chi lo attraversa, lo pensa, lo vive, lo crea e lo partecipa o di chi lo usa con indifferenza e negligenza, o ancora chi ne fa un suo oggetto industriale. Di natura versatile, il giardino, infatti, si lascia modellare o trascurare, ma nel secondo caso non c’è via di scampo: il giardino trova la sua sofferenza che, pur mostrandosi, non viene percepita né letta con esattezza, finendo col non riuscire a ricevere il suo più giusto rimedio. Perché il giardino non mente, non mente mai. Esso si svela incondizionatamente ma solo a chi è disposto ad entrarvi con l’occhio dell’empatia e a sentirsi parte di esso (…)>> (idem, pg 31). Un’empatia persa oggi, perché l’anima dell’uomo è persa, confusa, anestetizzata, spogliata della sua dignità più profondamente umana. E a farne le spese è la Grande Madre con i suoi sacri figli, un boomerang per l’uomo che negli ulivi oggi non vede più la LUCE della SAPIENZA, per via dell’elettricità, e nelle palme la CONOSCENZA della VOLUTTA’ e della PACE insieme, e ancora nel pino la SPERANZA dell’INCORRUTTIBILITA’ e dell’IMMORTALITA’, né, in questi alberi, egli avverte l’energia dell’incontro armonico tra il femminile e il maschile, dello yin e dello yang, sprigionarsi cercando disperatamente di raggiungere il suo sé.
Eppure, scrive ancora la sottoscritta, nello stesso testo, a proposito del genere Pinus: << (…)Come la quercia, le diverse specie di pini con i loro aghi sempreverdi e con il profumo balsamico che elargiscono ovunque, evocano l’idea dell’incorruttibilità e dell’ immortalità e dunque della divinità. Presso i Greci, questi alberi erano associati a Rea, la Grande Madre degli dèi dell’Olimpo a cui, più tardi, si sostituì il mito della ninfa Pitis che, ansiosa di sfuggire al dio Pan, invaghito di lei, chiese e ottenne di essere trasformata nell’albero che poi prese il suo nome. Il pino era anche sacro a Dionisio, raffigurato spesso con una pigna in mano che, come l’edera, simboleggiava il perdurare della vita vegetativa e il suo eterno ritorno. Si credeva che il dio divorato dai Titani, risorgesse a nuova vita.
Nell’antica Roma, il culto di Cibele, echeggiante il drammatico culto dionisiaco, prevedeva l’idolatria del pino che, una volta abbattuto, veniva portato al tempio sul Palatino. Avvolto in bende di lana e inghirlandato di violette, il pino impersonava il defunto Attis, amante divinizzato della dea, su cui vegliavano i fedeli, gemendo tutta la notte, in attesa della sua resurrezione. Con il rinnovarsi della natura, in primavera, Attis, svegliandosi dal lungo sonno, ritornava alla vita accolto con banchetti e mascherate. Il pino come metafora del dio morto e resuscitato, rimandava all’idea dell’alternanza delle stagioni.
Il mito di Attis fu interpretato allegoricamente come un’anticipazione pagana della Pasqua dai primi cristiani, che ripresero l’usanza di coronare i pozzi con le pigne, considerate i frutti dell’Albero della vita. Un collegamento simbolico tra la pigna e l’Albero della vita, lo si riscontra ad esempio in un mosaico del battistero del Laterano, nonché nella colossale pigna rinvenuta presso le terme di Agrippa e firmata da Publio Cincio Salvio, oggi nel Cortile della Pigna ai musei vaticani.>> (idem, pg. 35-36)
Simbolismi arborei, appannaggio oggi di un’élite di menti colte e incomprese, troppo spesso inascoltate, nel prosieguo ormai annoso, nel nostro paese, di un albericidio silente ma costante: dall’abbattimento frettoloso di ulivi centenari pugliesi, alla morte lenta delle nostre palme, fino al pinus pinea, appunto, un albero bello, dal tronco slanciato e longilineo, dalla chioma verde intenso, la cui forma ad ombrello è lì pronta a donare, incondizionatamente, ombra e frescura a chi vi passa sotto, nonché i suoi famosi pinoli, semi del suo frutto, commestibili per l’animale-uomo. Decora le coste del Mediterraneo quest’albero e anche la città di Roma, ma solo a partire dagli anni ’30 dello scorso secolo! Un albero che, come denuncia l’Associazione Amici dei Pini – nata spontaneamente nel 2018 a villa Celimontana intorno allo storico degli alberi, Antimo Palumbo, suo promotore -, soffre della cattiva potatura e del conseguente attacco virulento di insetti malefici, problema risolvibile con un’adeguata pulitura e non potatura dell’albero e con la liberazione di insetti benefici su cui avrebbero la meglio. Più tardi poi nasce spontaneamente il Comitato Salviamo i Pini di Corso Trieste in difesa dei pini di uno dei viali “più iconici del Secondo Municipio” sui quali era piombata improvvisamente l’idea di sostituirli con altri alberi in fantasiosi scenari alternativi”, scrivono su fcb. E continuano: “Abbiamo, insieme al Comitato, lanciato una petizione che ha ricevuto più di mille firme, abbiamo avanzato richiesta di monumentalità per lo storico viale, abbiamo interloquito con Municipio e Comune affinché si facessero indagini strumentali più approfondite sugli alberi per individuare quelli effettivamente instabili e scongiurare abbattimenti indiscriminati, organizzato una manifestazione per chiedere rispetto e cura.(…)
Eppure, di pini se ne abbattono ogni giorno a Roma, e non solo a Roma, seppur ancora vivi, seppur ancora salvabili, e spesso, nonostante sia già stato eseguito su di essi il trattamento endoterapico: la vaccinazione degli alberi contro i virus, sempre che di vaccinazione per gli alberi sia corretto parlare, come racconta questo simpatico cultore e curatore degli alberi nel video che ho scelto per voi, firmato From Roots to Leaves, dove scopriamo che la “salvifica” endoterapia poi così salvifica proprio non è:
Scrive nel suo ultimo documento il prof. Giuseppe Altieri, agroecologo e ricercatore appassionato del nostro ecosistema, da anni difensore degli alberi e dei sistemi di cura non farmacologici, ma riconoscibili, perché propri, dall’ecosistema che da sempre ha convissuto e convive con i virus, imparando a difendersi da sé (per leggere il prof. Altieri cliccare qui il link qui di seguito): https://www.periegeta.it/it/2021/04/per-un-approccio-agroecologico-alla-cura-del-verde-pubblico-documento-dellagroecologo-giuseppe-altieri/
E ancora nel recente articolo dell’esponente dei verdi Guglielmo Calcerano, in cui asserisce che l’abamectina (usata per l’endoterapia), in sostanza, è un veleno e non a caso per la lotta alla Toumeyella è stato fin qui autorizzato solo per un periodo limitato: https://romareport.it/2021/05/24/coccinella-dura-senza-paura/?fbclid=IwAR0ZXvb3mLO7pVDt7m_HAjrH95z2WII-a4QNngyOKmDOMeqCA0X3ywJ583o
Nell’ascolto e nella lettura di queste voci allarmanti, la mia mente vola indietro fino al mito del Laocoonte, il quale scatenò l’ira di Atena per aver cercato, inutilmente, di far aprire gli occhi ai troiani riguardo alla realtà del gigantesco cavallo di legno, presunto dono degli avversari greci alla dea Minerva. Quando il sacerdote di Apollo infatti provò ad esternare la sua felice intuizione, i troiani non vollero ascoltarlo, tacciandolo di “visionario e complottista” (parole di cui si fa un abuso spropositato oggi, per zittire il dissenso?). E i serpenti marini, inviati dalla dea della caccia, protettrice del popolo greco, divorarono lui (il presente), i suoi figli (il futuro) e con essi la verità. E infine, Troia si ritrovò nel bel mezzo dell’inferno che tutti conosciamo!
E noi, quanto ancora resteremo ciechi e sordi all’urlo dell’orribile sofferenza di persone, animali e piante?
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Argomento molto interessante illustrato con molta sensibilità e competenza come Anna Bruno riesce sempre a fare grazie
Un articolo complesso e arricchente per la denuncia e per i tanti rimandi all’arte, allo spirito, alla vita.
Grazie.
Articolo utile, istruttivo, persino commovente. Una analisi completa, una riflessione profonda
Solo questa mattina sono riuscita a leggere questo articolo di Anna così esaustivo ed accorato. “L’albero era una cosa sacra.”…niente di più vero .Un albero è vita che si rinnova è ossigeno di cui abbiamo bisogno mai come ora. Grazie Anna ,
Mi permetto di esprimere una opinione differente dal prof. Altieri, non tanto perché sia da ritenersi sbagliata, anzi, piuttosto perché non adatta al problema contingente.
La lotta biologica con organismi antagonisti, che siano insetti o bacilli o altro, è una pratica difficile e sacrosanta, che ha bisogno dei suoi tempi per essere perfezionata ma anche per essere efficace.
Se parliamo dei Pinus pinea di Roma, attaccati ormai da un paio d’anni dalla Toumeyella parvicornis (cd. “cocciniglia tartaruga”), purtroppo siamo in grave ritardo, in quanto molti esemplari stanno già morendo, completamente anneriti dalla fumaggine che segue gli attacchi della Toumeyella, e quasi tutti i pini del centro storico di Roma, a partire da Via dei Fori Imperiali per esempio, sono in questo momento sotto forte attacco. Ho visto con i miei occhi la melata scendere a pioggia sotto quei poveri esemplari.
Sinceramente allo stato attuale, pur augurandomi con altre tempistiche di veder lavorare la lotta biologica, magari in seguito proprio sugli stessi pini, non vedo altra soluzione della endoterapia, dal 1 maggio autorizzata sui pini con abamectina, che non si disperde nell’ambiente e pare abbia dato eccellenti risultati durante la sperimentazione condotta nei giardini vaticani. Il costo non è proibitivo (100 euro circa a pianta, forse meno – se riferito a un discreto numero di piante) per i due trattamenti necessari nell’anno, e il risultato – se eseguita con perizia – è immediato, nel giro di pochi giorni si eliminano il 90% delle cocciniglie.
Siamo in emergenza, se non facciamo così tra un anno o due non avremo più pini a Roma, se non morti in piedi, a quel punto veramente pericolosi e pieni di fumaggine, una vera catastrofe dal punto di vista ambientale, paesaggistico ed economico.
Bisogna intervenire immediatamente con la endoterapia per salvarli in emergenza, poi penseremo alla lotta biologica con coccinelle o altri antagonisti, che per ora non ce la potrebbero assolutamente fare a contenere questa infestazione così diffusa e pericolosamente veloce.
Cordialmente
Aggiungo: il vero problema è che invece di curare i pini ammalati, con lotta biologica o endoterapia (che non è un vaccino!), il Servizio Giardini non sta provvedendo ad altro che ad abbattimenti e potature, come se non si sapesse che i pini sono parte integrante e fondamentale del patrimonio storico e ambientale di Roma, ne caratterizzano il paesaggio dai tempi della classicità.
Quando a Roma non ci saranno più pini di chi sarà la colpa? Chi si sobbarcherà gli enormi costi??
Perché non provvedere quando – ancora per poco – potremmo fare in tempo?
Gentile Cesare Greco, sono chiare le pesanti responsabilità di chi ha trascurato il problema della Cocciniglia dei Pini in Italia, che rappresentano un patrimonio paesaggistico Costituzionalmente tutelato (Art. 9) e assolutamente da preservare e non abbattere, nella tutela della Salute e dell’uso razionale del suolo (Art. 32, 44 Costituzione). E’ questa materia per la Magistratura e la Cittadinanza che in un paese civile valutano, denunciano e giudicano.
Ma pur nell’emergenza, bisogna dire che la legge (D.lgs.150/2012 di recepimento della Direttiva UE sull’Uso sostenibile dei Pesticidi) parla chiaro. Dal 2014 in Italia come in tutta europa è obbligatoria la difesa integrata che prevede l’impiego prioritario e obbligatorio di tutte le tecniche alternative Agroecologiche disponibili di tipo biologico, meccanico, fisico, biodiversità funzionale e insetti utili, introdotti, prodotti autorizzati in agricoltura biologica, ecc. prima di poter consentire l’impiego di sostanze chimiche come Abamectina, la quale purtroppo non rimane solo dentro le piante, bensì si disperde nell’ambiente attraverso le melate e il corpo degli insetti con apparato pungente che la assumono, come le cocciniglie in questione. Danneggiando Api e pronubi selvatici e gli insetti utili parassitoidi (i cui adulti si nutrono proprio delle melate mentre inseriscono le uova nel corpo delle cocciniglie di cui si nutre la progenie… assumendo abamectina e quindi rimanendo danneggiata…); e, infine, anche i predatori che si nutrono direttamente delle cocciniglie bioaccumulando i residui chimici nel loro corpo, riducendo in sostanza la propria fertilità. Ciò, unitamente all’instaurarsi di resistenza da parte delle cocciniglie che hanno una grande prolificità, rende vana in breve tempo l’efficacia momentanea delle endoterapie che ostacolano anche il controllo biologico, come ho spiegato nel mio articolo, cosi come è successo in 70 anni di storia chimica della difesa delle piante, laddove troppo spesso si è “usata la causa… per combatterne le conseguenze”… In una spirale perversa, illogica e sempre più anacronistica, che ha devastato la biodiversità funzionale degli ecosistemi (organismi utili), la salute umana ed animale, l’ambiente nel suo complesso.
E’ per questo che nella Decisione CE del 30-12-1996 All. 1 vennero definite le norme OILB sulla Difesa Integrata delle coltivazioni, presentate dal sottoscritto al Convegno COLIBRI-OILB di Marzo dello stesso anno alla Borsa Merci di Bologna definite dai massimi esperti Universitari internazionali e poi approvate… ma mai applicate a dovere… Dopo 25 anni di illegittimità diffusa è necessario che tutti i cittadini e le istituzioni reagiscano a dovere a questo “status quo”, rafforzando l’opera di educazione e ripristino della Corretta Norma.
I dati sulla tossicità dell’Abamectina nei confronti degli organismi utili, non solo insetti, bensì anche uccelli, rettili, anfibi, mammiferi ecc. sono chiari (ISPRA), e in ambiente urbano e/o frequentato dalla popolazione l’impiego delle sostanze chimiche è di fatto interdetto, trattandosi di aree particolarmente sensibili per i rischi a carico della salute.
E in ogni caso, vista la necessità di gestire l’emergenza, con un costo previsto che Lei indica di 100 € a pianta per le dendroterapie chimiche, possiamo acquistare ben 2.000 larve di Coccinelle predatrici (Criptolaemus montrouzieri), sufficienti per almeno 3-4 pini !!… se iniziamo presto le introduzioni dei predatori. Che, unitamente alle altre tecniche biologiche impiegabili sulla chioma con sostanze biologiche, lavaggi con saponi potassici, oli naturali, microrganismi utili e corroboranti, potature intelligenti, ecc. possono consentire il salvataggio dei Pini anche in condizioni gravi. Soprattutto senza compromettere l’insediamento degli insetti parassitoidi e predatri indigeni e in particolare di quelli esotici da importare prima possibile con un programma di ricerca ad hoc, al fine di ripristinare l’equilibrio nel lungo periodo. Come dimostrano duecento anni di Lotta Biologica con successi evidenti, come nell’ultimo caso del Cinipide del Castagno ormai in via di risoluzione definitiva.
In sostanza non saranno le punture a salvare i Pini (così come gli esseri Umani, parafrasando l’ironia della Dr.ssa Anna Bruno sui “Vaccini” per le piante nell’era del Covid) che appaiono come le “chemioterapie a un malato terminale”… bensì l’intelligenza e le giuste cure Agroecologiche “sinergiche”.
Facciamo squadra e creiamo un Coordinamento Agroecologico e iniziamo a lavorare al meglio tutti insieme, formando in maniera adeguata il servizio giardini per un “Progetto Pilota Agroecologico Avanzato” applicabile a tutta l’italia… “giardino d’Europa”.
E chiediamo ai sindaci di vietare la vendita dei prodotti chimici antiparassitari di sintesi, in primis in ambiente urbano (per zanzare, mosche, formiche, scarafaggi, ecc) e dei disseccanti (Glifosate e similari, sostituibili dal semplice ed efficacissimo Aceto) per i danni generali, avendo a disposizione alternative biologiche che ci consentono di salvaguardare la biodiversità “funzionale” la stabilità e il benessere del Verde pubblico e privato, come dell’Agricoltura hobbistica e professionale.
Rammeno inoltre che un prodotto chimico, oltretutto autorizzato in deroga, non può essere usato se non in casi veramente eccezionali e attenta valutazione delle soglie di danno, in ogni caso dopo aver esaurito tutte le tecniche alternative disponibili di tipo Agroecologico, obbligatorie e prioritarie.
E’ già troppo tardi… e la malagestione fitosanitaria ha creato troppi danni, compromettendo oltre alla salute Umana e ambientale anche le stesse piante, come nel caso delle palme distrutte dal Punteruolo e soprattutto del drammatico scempio degli Ulivi secolari del Salento… Per non aver ascoltato la voce degli Agroecologi… rimasta sin quì senza risposta.
Come si “lanciano” le larve di coccinella, che sono le predatrici della toumeyella? Ho letto che le coccinelle si ” convincono” male ad andare dive divrebbero perché volano via. Ma le larve? Vome si spostano e quanto possono rimanere sull’albero prima di crescere abbadtanza per volare?
Grazie