Il Blog di Anna Bruno

Ripropongo quest’articolo pubblicato nel marzo 2013 su www.romapsicologia.it

L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è
Paul Klee

Una mostra amata e controversa insieme quella passata di Paul Klee e l’Italia alla Gnam, che ha creato molte aspettative e che spesso invece è finita con lo sviluppare delusione nell’adulto… ma mai nel bambino!

Gli adulti si aspettavano una presenza più importante dei quadri dell’artista. Ed è vero, la Gnam avrebbe dovuto ricevere molti più quadri dalla Fondazione Paul Klee di Berna, che, all’ultimo, inspiegabilmente, ha fatto un passo indietro e declinato la promessa a partecipare. E ancora si aspettavano quadri di grandi dimensioni, necessari all’occhio infantile – secondo il loro odierno immaginario – , perché possa più facilmente esser polarizzato… Senza sapere che l’occhio del bambino non richiede tanto di esser polarizzato, quanto piuttosto di restare l’occhio dell’ Oltre.

Entrando con la mia solita annosa agenda di macchie e scarabocchi, ho guardato alle opere con gli occhi dell’anima poetica dei bambini, quella stessa con cui Klee ha dipinto. E mi sono emozionata! E mi sono persa per uscirne illuminata! Mi sono lasciata invadere ogni volta dalla capacità di quest’anima di stupirsi, e con la sua stessa libertà interiore, ho appreso, io per prima. Lasciando a casa il mio “concettualoide” intellettualismo.

Sono stati tanti i gruppi di genitori e bambini che hanno scelto di fare con me questo viaggio e…laddove i bambini sono riusciti a vivere il viaggio, molti genitori sono rimasti a distanza, nella loro incredulità e diffidenza. Altri invece si sono lasciati andare, riuscendo a leggere le opere, per la prima volta, attraverso gli occhi dei propri figli!… Perché gli occhi dei bambini, quando ancora non sono invasi dal nostro “far didattica” (imprimere un segno), scrutano, scartano l’involucro per poter assaporare il succo del nocciolo. Viverne il centro, l’essenza. Per loro, non è importante il nome dell’artista, ma la sua ex-pressione emotiva, pullulante, facilmente riconoscibile perché corrispondente alla loro.

Solo una mamma, alla fine della mia ultima visita-gioco alla mostra, mi ha chiesto con molta acutezza, e per questo la ringrazio, quale logica io avessi seguito nello scegliere alcuni quadri e non altri, e non per esempio il quadro in cui l’artista rappresentava un burattino. Perché quelli a cui mi sono data erano fatti di segni primigeni, che fendono il tempo, vanno oltre lo spazio, oltre lo stesso gesto dell’artista e della sua tecnica. Perché io mi abbandono ogni volta al sacro… a quei segni sacri che sono dentro ad ognuno di noi, segni con cui nasciamo, segni di pancia, che col tempo dimentichiamo troppo occupati a riempire la testa di concetti, di informazioni, di “apprendimenti scolastici”.

Troppo spesso nelle mie visite guidate ho avuto insegnanti (grazie a Dio non tutti!), che ripetevano ai bambini frasi fatte, luoghi comuni come “state zitti e non fate gli spiritosi, mi aspetto da voi che usciate da qui che avete appreso qualcosa”….ma il bambino non apprende, lui non ha bisogno di apprendere, il bambino ha bisogno di cercare, di scovare, di scoprire, di stupirsi… e sentirsi ogni volta vicino all’anima di chi ha realizzato l’opera. Paul Klee poi non è certo un artista che pretende di insegnare e dunque un artista da cui apprendere. Perché lui guarda all’arte paradossalmente con lo stesso sguardo “infantile” di Michelangelo, come fosse Rivelazione… “L’arte, diceva, rende visibile ciò che è invisibile”, quando è allo stato puro. E il bambino nasce già capace di esprimere l’arte allo stato puro, con gli occhi seducenti, con il mimo, con il gesto, sorridendo e poi disegnando.

Con Paul Klee e le sue opere, si sarebbe dovuto fare un passo indietro noi adulti. Eppure, ad ogni incontro, io mi preoccupavo di chiedere ai genitori di non entrare alla mostra con gli occhi della mente … inutile… se ne sarebbe persa l’essenza!… Perché il viaggio di Klee e della sua arte è a ritroso, lascia il mondo adulto delle certezze per ritornare a riappropriarsi dell’essenza fluttuante della vita, in un andamento circolare fino alla rappresentazione grafica primigenia, nonché infantile.

Paul Klee parte, e il suo viaggio da fisico diventa anima. Va lontano e lascia Felix, il suo bambino con i nonni. Certo, il bambino esperisce il senso del distacco e dell’affrancamento, sentimento che, col passare del tempo evolverà, e allora il bambino lo percepirà non più come dolore ma come necessaria esperienza di apprendimento del significato della vita, attraverso il sogno. E Klee allora annota nel suo diario di viaggio per permettere a Felix di leggerlo in solitudine ed entrare in quel sogno…

E ogni volta che un bambino viaggia all’interno di un sogno, al termine del viaggio, racconta ma quasi mai a parole, forse per paura delle nostre correzioni, forse perché ancora privo di un’ampia gamma di parole che gli consentano di esprimere al meglio le proprie emozioni. E allora lo fa con il linguaggio che più gli appartiene, quello che nessun adulto può avergli insegnato: il linguaggio grafico di segni rivelatori dell’Oltre. E non può averglielo insegnato perché l’adulto, pur avendo ancora questo linguaggio dentro di sé, lo ha rinchiuso nella propria cassaforte interiore, di cui ha dimenticato la combinazione.

E allora io, come tanti altri artisti, come qualsiasi altro poeta, sono andata e vado continuamente alla ricerca di quei segni, i soli capaci di rimuovere i veli dagli occhi della mia mente. Perché io stessa sia libera e dunque capace di “vedere” per prime le mie emozioni per poter meglio seguire quelle dei bambini. I concetti chiari allora si sfaldano, facendosi vento dentro di me ed è questo vento che mi consente raggiungere il luogo più intimo di un bambino, di tutti i bambini. Perché la visita-gioco si sviluppi per l’anima inquieta dei bambini e non per placare l’inquietudine adulta…

Dall’adulto mi aspetto però che apra il proprio cuore più che la mente, che si renda disponibile ogni volta ad abbassarsi, inginocchiarsi o sedersi a terra, accanto al proprio bambino e anche se le ginocchia fanno male (come, vi assicuro, fanno male a me ormai quasi cinquantenne!), anche se si fa fatica a rialzarsi e si prova dolore e la testa gira per qualche istante, riuscire a guardare un quadro da terra, fa ribaltare la prospettiva. Si ritorna piccoli e in balia delle emozioni, e ci si deve sforzare e alzare la testa, aguzzare la vista, spinti dal desiderio di scoprire più che di capire…

Dall’alto invece, si cerca il titolo, ci si aspetta che la guida o operatore didattico di turno ci imprima un segno nella mente… “Perché per emozionarsi bisogna prima capire” mi ha detto una mamma. Eppure della natura, un poeta si emoziona senza essere troppo scienziato. E vi dirò di più, uno scienziato deve saper conservare una bella dose di emozioni allo stato puro per poter andare incontro alla scoperta!…Lo scienziato ha più bisogno di infantili creatività e capacità di stupirsi per poter “scoprire”, che di sapere. Lo scienziato deve essere per poter andare oltre.

E già, gli occhi della mente hanno bisogno del titolo di un quadro, della storia raccontata sulla vita dell’artista… mentre gli occhi dell’anima si dimenticano del suo nome, nonostante lo abbiano letto chissà dove, e si annoiano ad ascoltarne la storia. Quella la andrebbero volentieri a cercare poi, quando la loro curiosità al riguardo è stata stimolata ed alimentata dalla scoperta e dallo stupore. E poi gli occhi dell’anima vanno ben oltre le dimensioni pur piccole di un quadro e allora quel suo minuscolo contenuto agli occhi di un bambino può diventare favola infinita….se noi adulti, contenitori del sapere, lo lasciassimo fare e con umiltà ne seguissimo il prosieguo. […]

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