Ma quale crisi? I fatturati di Lottomatica crescono che è una meraviglia. La colonizzazione degli immaginari dei bambini, con le campagne promozionali nei musei che svuotano di senso pure Calvino e Munari, funzionano bene. Le strategie di multinazionali come Chrysler e McDonald hanno fatto scuola. La «cultura» non ha più investimenti?
Non bastavano città e paesi con autobus e angoli inaspettati, tappezzati di cartelloni pubblicitari a favore della «Lottomatica-salva-cultura-per-le-famiglie». Non bastava entrare in tabaccheria, dove una volta ci si fermava a parlare del bene e del male, degli eventi umani di quartiere, ma che, negli ultimi anni, si è vista convertita in una sorta di macchina operativa dell’azienda della O «girandolosa». Basti pensare che per comprare anche solo un francobollo, si è costretti a far la fila dietro a quanti hanno appeso la loro vita a una speranza, quella elargita da un cartoncino dai mille colori, dall’entusiasmante nome «Gratta-e-vinci» oppure da una slot machine acchiappa anime. E ancora, non bastava entrare in internet, dove uno spot generante ansia, sembra urlare alle coscienze timorose e insicure dell’oggi e del domani: «”Ogni 5 minuti più di 2.500 vincite. Questo significa che hai appena sprecato 9 secondi” firmato 10elotto “semplice giocare, semplice vincere”». Bisognava che la Lottomatica penetrasse più in profondità. Dal 2008 si è voluta occupare anche della Cultura per le famiglie con i loro bambini, adolescenti e pensionati E con ragione, visto che lo Stato è in tutt’altre faccende affaccendato, visto che il lusso, il potere particulare e il perverso bisogno di autocelebrazione, a cui ora si sono aggiunti «San» Spread e i poteri finanziari, occupano menti e impegno dei nostri dirigenti, lasciando il settore cultura vuoto e solo, perché si faccia terreno fertile per chiunque voglia soddisfare la propria ingordigia di profitto.
A tutto questo, i dirigenti museali sembrano disattenti, troppo attenti alla «sacra conservazione».. E pur di non far morire nell’isolamento i musei antichi tanto quanto quelli di giovane realizzazione, questi illustri dotti medici e sapienti non si affannano a guardare da dove i proventi arrivano e dove vanno: neanche importa tanto se poi il museo rischia di trasformarsi in industria «laboratoriale» per giovani creature, potenziali grandi artisti, per cui il museo nella realtà mostra tutta la sua diffidenza!
E i promotori del Lotto avanzano, informando che è un’abitudine «storica» dell’azienda quella di investire in opere d’arte o architettoniche sin dal ‘700, quando questa finanziò la realizzazione della fontana più amata del mondo, la fontana di Trevi. Romantico quanto lecito questo loro andarne orgogliosi, se non fosse che dal 2008 al 2012, i proventi dell’azienda salva-cultura-delle-famiglie, si sono triplicati, insieme alle patologie da gioco. Lo assicura il Servizio tossicodipendenze dell’Ausl di Cesena, in una intervista rilasciata a Il Fatto quotidiano (Emilia Romagna) in settembre, che definisce la Lottomatica «(…) un’industra che macina utili via via maggiori (…)». I dati spaventano: nell’anno 2011 i ricavi sono aumentati del 29 per cento rispetto a quelli dell’anno 2010 e nei primi 9 mesi del 2012, i ricavi sono di circa il 5,5 per cento superiori rispetto a quelli dei primi 9 mesi del 2011. Lo raccontano i bilanci pubblicati dalla Lottomatica stessa su internet.
A quale traguardo stiamo mirando tutti? Non avremo forse perso di vista quello giusto, quello che si farebbe porta verso il Bene comune? Abbiamo perso un’intera generazione di giovani creativi e pieni di energia, su cui le nostre tasse hanno investito fino al conseguimento dei loro titoli di studio, dei loro master e quant’altro, lasciando che altri stati li accogliessero a braccia aperte e reinvestissero, qui ed ora, sulla loro preparazione e intelligenza creativa. E questo perché da una parte i nostri dirigenti sminuiscono il problema o forse non lo sanno più risolvere e dall’altra continuano a lasciar man forte a realtà contorte che certo han già preventivamente contemplato i rischi del loro «operare».
E i nostri musei, aria, fino a non molto tempo fa, protetta dagli sponsor o, per lo meno, da quelli di cattiva qualità, presi dal poter mostrare la loro miglior offerta in fatto di gratuiti laboratori «ri»-creativi per bambini e visite guidate per ragazzi, permettono che questo male avanzi, facendosi conniventi (insieme a chi ci governa). Nonostante il ricorso al povero Bruno Munari e persino alle favole di Italo Calvino…Illustri musei come quelli romani di arte contemporanea, nuovi di zecca e dai nomi ridondanti quali Maxxi e Macro, o il rinnovato Palazzo delle Esposizioni, e addirittura il Museo Nazionale degli Strumenti musicali e altri e altri ancora, non sembrano mostrare repulsione alcuna nei confronti di quella O girandolosa, ormai accogliente padrona di casa dei nostri musei per ignari visitatori. E «lei», intanto, divertita li accompagna nel percorso all’interno per non lasciarli più, neppure all’uscita. Tutto allora si rende pericoloso, irto di rischi per il visitatore e di possibilità di profitti per l’intraprendente azienda, che usa il museo come mezzo per il suo fine. Ma ormai siamo in piena commercializzazione della società e quello che spaventa è che è già assuefazione!
Tuttavia, saremmo alquanto ingenui a pensare che questo gioco dell’affare, lo abbia inventato la Lottomatica, che quasi certamente deve essersi ispirata ad aziende americane veterane in questo tipo di strategia di vendita, come la Pfizer, la Kia o allora la Chrysler e McDonald e altre e altre ancora. Multinazionali che, pure non produttrici di beni per bambini, hanno ben pensato di investire sulla formazione delle coscienze di questi futuri consumatori, come la Kia che si è presto proposta per la sponsorizzare del Children’s Festival di Vancouver. L’idea era quella di generare e favorire il Nag Factor (Fattore Assillo), una raffinata strategia di marketing per spillare soldi ai bambini che soldi in tasca non hanno, ma che hanno i loro genitori. E allora qui accorre in aiuto il fattore assillo dimodoché il genitore stanco e stressato, cede all’acquisto richiesto…
Così il rischio che l’animo del ragazzino evolva in un disturbo ossessivo-compulsivo ha già raggiunto la sua punta dell’iceberg – oggi anche in Italia – nella dilagante incomunicabilità che sembra non risparmiare troppi nuclei familiari. Per lo più ridotte alla solitudine disperata del singolo all’interno del clan, a cui magari si propone in maniera dilagante una figura spaventosamente emergente, quella del «counseller familiare a pagamento». Perché un amico pronto ad ascoltare quasi non lo si trova più…